mercoledì, aprile 19, 2006

La città degli stivali

Django entra in città all’alba. Il cavallo è esausto e versa tutta la sua energia negli ultimi metri di galoppo. E’ una bella bestia! – pensa il cowboy, mentre lo fa decelerare. Django libera l’animale dell’enorme peso che ha legato a sé, una bara dall’aspetto elementare e rudimentale: assi di legno e chiodi che spuntano con i vertici piegati. Sente scrosciare l’acqua e si avvicina alla fonte. Deve piegarsi sulle ginocchia per bere, strano, neanche i cavalli arriverebbero a bere così in basso. Mentre si sorregge per dissetarsi, il tubo in gomma si stacca e l’acqua gli inonda la pelle arida e bruciata dal sole. Lui prova un sensazione molto vicina al dolore, altri la chiamerebbero pulizia. Gli speroni stridono sull’asfalto provocando un’irritante fischio. A terra c’è un uomo coperto da un cartone che si desta dal suo sonno, avvolto dal fetore si gira a guardare il gringo e, dopo averlo squadrato per bene, sputa a terra un liquido nerastro che avrebbe potuto contenere saliva. Il cowboy torna al suo cavallo ed afferra la briglia portandolo a spasso come un nonno che accompagna il nipote all’asilo. Intorno la città prende vita: le automobili iniziano a circolare e le saracinesche dei negozi li alzano scricchiolanti ed automatizzate. Django si specchia nella stazione centrale ma decide di andare nella direzione opposta. Imbocca il corso principale. Stuoli di commesse sconvolte imbracciano il cellulare pronte ad immortalare il folle e ad inoltrarlo fuori della città via mms. Django si guarda attorno scrutando le vetrine. La bara fa un rumore infernale mentre il cavallo la trascina sulla pavimentazione nuova di zecca. Il cavaliere ha invece i piedi stanchi e cammina a fatica. Sente un rumore alle sue spalle e si volta di scatto come nella fase cruciale di un duello. Il vigile corre in bici verso di lui con il fischietto tra le labbra e il pollice che sditalina il campanello. La visione di un nordista alla carica è un’immagine lontana nei ricordi di Django, ma il suo copricapo non lo convince, non li ha mai visti indossare i baschi e portare al fianco i manganelli. Non ci pensa due volte ed estrae la colt colpendolo in piena fronte. Il vigile si riversa sul parabrezza di una macchina in divieto di sosta. Il proprietario della vettura vede la multa, la straccia, la accartoccia e la infila in bocca al soldato, poi spintona via il corpo e dice al gringo : “Grazie straniero, ma stai attento, questa città è piena di pericoli”.
Django ha decisamente attirato l’attenzione e intorno di lui si è creato un gruppetto di curiosi. Si tratta principalmente di pensionati con le mani giunte dietro la schiena e lo sguardo trasognato, ma anche le commesse ne hanno approfittato per fumare una sigaretta appoggiate al lato esterno della vetrina. Lo sguardo dello straniero si concentra su Katia, anzi no, va oltre, alle spalle di Katia. Mira dritto al negozio. L’insegna dice Saloone’s Shoes. Django varca la soglia del bazar facendo rintoccare i tacchi degli stivali, poi arriva il cavallo, la bara è l’ultima ad entrare. Si guarda i piedi ed in un istante è già seduto sul divanetto a spogliarsi le calzature, il fetore si eleva dalle sue leve infestando l’aria come la canzone di Alex Britti che esce dalla radio accanto al registratore di cassa. Il proprietario osserva con estremo disappunto quelle estremità denudate e poggiate sulla sua moquette. Django appoggia la colt nel divanetto accanto al suo, nella conca ricavata da centinaia di chiappe succedutesi negli anni. Nessuno azzarda una mossa. Lui invece afferra dallo scaffale un paio di stivali, controlla che siano della sua misura e se li infila ai piedi. I curiosi con i nasi spiaccicati sulla vetrina osservano la vestizione dello straniero. Due bambini giocano col cavallo. Django fa un paio di passerelle per vedere come calzano i suoi due nuovi compagni di viaggio, poi si aggiusta il cavallo dei pantaloni e si dirige verso lo stallone.
Ora ha bisogno di un uscita di scena spettacolare, di quelle che sa fare solo lui. Ha già studiato tutto. Il corpo di Luciano Garzia è nella bara. Lui l’aprirà e, in un tripudio di pathos e musiche morriconiane, infilerà i suoi vecchi stivali al cadavere. A quel punto basterà andare via verso l’orizzonte. Le cose non vanno proprio così. Mentre si avvicina all’uscita vede che la fune che legava la bara al cavallo non c’è più. Il Corpo di Luciano Garzia è a terra, tra la folla, e i bambini, memori delle eroiche gesta della polizia scientifica viste in tv, stanno tracciando a terra la sagoma del cadavere con i gessetti colorati. Una brutta figura per Django, non ci voleva. Non gli resta che infilarsi la mano nelle brache, aggirare con il polso i mutandoni e pescare dal suo pacco un pugno di euro. La commessa corre alla cassa ed emetto lo scontrino, non si sa mai se fuori c’è la finanza.
Vicino alla stazione, nei pressi della fontanella, Arsenio dorme nella bara. Il suo nuovo letto è migliore di tanti altri che ha provato finora. In fondo, anche il fetore e la puzza di cadavere non sono peggiori di molti altri odori che ha respirato finora.

sabato, aprile 15, 2006

La Madonna del Drive-in

I bambini ascoltano tutto, rielaborano le sensazioni e i discorsi dei grandi a loro piacimento mischiandoli con cartoni animati, incubi e pennarelli a spirito. Basta poco perché si auto-terrorizzino per notti intere, soprattutto in una famiglia cattolica dove: “la domenica devi andare a messa sennò non sei un bravo bambino”, “se dici le parolacce Gesù piange”, “oggi è venerdì e non si mangia la carne”. Oggi stavo facendo la rassegna stampa e sulla cronaca locale de Il Messaggero ho iniziato a leggere un articolo che mi ha riportato alla mente ricordi seppelliti chissà dove. Erano pieni anni ottanta, precisamente il 1988, avevo quasi sei anni. Alla Tv c’era Drive-in, mi faceva ridere, Giorgio Faletti non aveva ancora avuto la sciagurata idea di fare lo scrittore copiando trame e atmosfere da quei libri che hanno i nomi degli autori scritti in rilievo nell’edizione paperback. I milioni di persone che seguivano il programma e che sarebbero divenuti anni più tardi gli acquirenti dei best-seller di Faletti erano impegnati a discutere d’altro. L’atmosfera di Pescara si era impregnata come colpita da un gavettone di misticismo. La Madonna a Montesilvano! Leggendo l’articolo è svanita la cataratta che copriva quella sezione dei miei ricordi. Nomi, facce, avevo tutto in mente come se fosse successo ieri. Don Vincenzo e la sua amante-veggente Maria Antonietta Fioritti in contatto diretto con nostra Signora. Un’infinità di discorsi intorno a me, percepiti e filtrati con Topolino tra le mani. La tipa parlava con la Madonna, il diavolo si aggirava per Pescara e bussava alle finestre, il Colle della Vecchia prendeva il nome da una strega che era stata decapitata e seppellita da quelle parti. Spuntavano crocifissi come funghi sui colli di Montesilvano. La donna era posseduta, il prete era impazzito. Frullavo tutto questo nella testa centrifugandolo tra i pedali di una BMX rosso fuoco. Come si può uscire vivi dagli anni ottanta con tutte queste immagini deliranti in testa. Il 28 febbraio del 1988 Don Vincenzo e Maria Antonietta Fioritti danno appuntamento a tutti i fedeli sul Colle della Vecchia nelle ore in cui il sole picchia anche d’inverno. La Madonna si sarebbe fatta viva. La popolazione accorre: sacchi a pelo, coperte, vetri affumicati. All’ora fatidica sono tutti a guardare il sole come in un drive-in, dopo qualche ora sono tutti all’ospedale. Cazzo, hanno fissato il sole. Tutti cercavano di decifrare quegli strani colori che si materializzavano sulla retina. Si, l’ho vista! Ma la Madonna non può essere una visione lisergica, è pur sempre la Madre di Dio, mica Jodorosky. Il sogno collettivo, l’incredibile visione dotata di una direzione della fotografia degna di Mario Bava, scivolò giù dal colle. L’attenzione sul fatto scese man mano. Gli oculisti facevano affari d’oro. La sera tutti si concentrarono sul Drive-in per esorcizzare l’evento. Nessuno immaginava che dopo diciotto anni Don Vincenzo sarebbe tornato, non immaginavano neanche di imparare a memoria il testo di “minchia signor tenente”. Pare che sul Colle della Vecchia la croce ci sia ancora. Ecco dove passerò la mia pasquetta.

martedì, aprile 11, 2006

Ha vinto lui


O per lo meno ha vinto una battaglia fondamentale. Visto che nostra signora mafia è una cosa strettamente connessa con la politicaccia italiana e che il partito più votato resta quello nato per curare principalmente gli interessi di Cosa Nostra, non mi sembra un colpo da poco. Guardare Grasso sorridere è una gioia, è un uomo che stimo profondamente. Ma la strada è ancora lunga.

mercoledì, aprile 05, 2006

Reti

Passare la domenica pomeriggio seduti in un bar di pescatori, a due passi dal mare, dalle barche e dalle reti. Nell’altra sala sono già tutti ubriachi, sono già tutti in pensione. Si massacrano di briscola e s’incazzano se perdono. La Peroni va accompagnata con le patatine San Carlo. Non seguo il calcio ma il calcio mi segue e mi annuncia i suoi risultati alla radio. Il tipo all’altro tavolo è in vantaggio, ci distacca di almeno due bottiglie e non si alzerà prima di un’ora. Mario una settimana fa era in Florida e adesso aggredisce un pacchetto di Più Gusto. Perdo sabbia dalla suola staccata. E’ tutto talmente normale che vale la pena passarci un pò di tempo.

La socializzazione è il primo segno di civiltà. L'uomo primitivo diventa civile quando incontra il bar. Da uomo delle caverne diventa uomo delle taverne.
(Andrea G. Pinketts)

sabato, aprile 01, 2006

Colloquium Vitae

Il secondo colloquio si svolge la mattina in un lussuoso hotel. Non avevo capito molto bene cosa dovesse accadere, la colpa non è solo mia ma anche del selezionatore, uno psicologo esperto in risorse umane che mi aveva sputato addosso una serie di termini estranei a qualsiasi persona che non indossi un blazer blu, come se non bastasse parlava anche con la patata in bocca, tipo tipo quel ragazzetto che va facendo il gangsta rapper in Tv di questi giorni. Comunque, mi presento a questa seconda fase spinto più che altro dalla curiosità e mi ritrovo in una situzione molto simile ad un rapimento ufologico. Certe volte mi chiedo come cazzo sia possibile che mi ritrovi in queste situzioni assurde. Gli altri 8 candidati sono già nella Hall. Mi rendo subito conto di essere l'unico con jeans a zampa, scarpe by pittarello, camicia grigia a quadri ricoperta da maglia nera e soprattutto niente giacca. Ho davanti una sfilata di gente che sembra lontana da me mille miglia, anche se in fondo non è così. La maggior parte di loro ha solo tirato fuori dalla formalina il vestito della laurea e stretto eccessivamente il nodo della cravatta. Il problema non è tanto stare in giacca e cravatta o meno, ma lo stare come manichini imbalsamati. Tutti gli altri hanno poi come accessorio una valigetta piatta in pelle che presumo sia vuota. Nella stanza dove si terranno le prove ci aspetta l'eminente selezionatore, appena entriamo sembra quasi risentito perchè lo abbiamo distolto dalla lettura de "Il Giornale". Sbracato sulla sedia e con la sua immancabile patata in bocca corredata da accentaccio lombardo inizia a biascicare concetti che possono trovare ospitalità sono nei breviari di Scienze Manageriali. La cosa mi diverte sempre di più e non vedo l'ora di tornare a casa per mettere nero su bianco quello a cui stò per assistere. Ci invita a presentarci uno alla volta e ad inscenare una discussione per almeno 30 minuti. Finito il giro conoscitivo il discorso prende subito una deriva campanilista e si accentra sulla rivalità Chieti-Pescara. L'egregio Dottor ci scruta e prende appunti. Le redini della situazione sono impugnate da un giovine proto-berlusconiano, le sue opinioni sono condivise quasi da tutti ed io tremo pensando al 9 aprile. Seguono test psico-attitudinali e esercizi di problem solving, li affronto come se fossi al mare alle prese con la settimana enigmistica, sono quasi irritante perchè vedo gli altri agitati e sudati. Il timidissimo ragazzo in completo celestino alla mia sinistra ha una tempia che pompa liquidi come la lavatrice di mia madre nei giorni festivi. Scoprirò più tardi di aver conseguito nei test un risultato di molto superiore alla media nazionale. Tutto questo è assurdo. Si torna a discutere in gruppo su tematiche aziendali, un mio coetaneo di cinquant'anni dice che a lui non interessa che il lavoro sia bello e interessante, l'importante sono i soldi. La logorrea di questo tipo è la goccia che fa traboccare la bile della mia attenzione. Da questo punto in poi decido di divenire spettatore. Insomma, la situazione è completamente bizzarra: nove persone che non si conoscono se ne stanno attorno ad un tavolo cercando di essere cordiali e spigliati con il prossimo parlando di cose che non stanno nè in terra nè sottoterra. Come se non bastasse un uomo antipaticissimo che somiglia all'ex sottosegretario all'Economia di AN ci studia svogliato come se fosse l'ultima cosa che desideri fare al mondo. Boh!? Ultima prova: assegnare un aggettivo positivo ed uno negativo ad ognuno degli altri candidati. Mi sbizzarrisco nella fiera delle ovvietà e consegno il foglio. Rischio anche di aver fatto una buona impressione. Ho la camicia sudata e non vedo lora di andare al concerto di Cesare Basile. Domattina tornerò dai miei pazzi, tra loro sì che stò bene.