sabato, settembre 23, 2006

14/09/2006

La pelle d’oca fino alle guance non l’avevo mai avuta. Ormai è passata più di una settimana dal concerto dei Pearl Jam a Bologna. Sentendo il bootleg ufficiale ho una sensazione bellissima, un’emozione indescrivibile nel rivivere quei momenti. E’ impressionante come la pelle si contragga ai primi accordi di Small town, hanno l’effetto di un leggero vento che soffia su di un corpo sudato dopo una scopata. Avere il disco della serata più desiderata della mia vita mi ha fatto passare un po’ della paranoia post concerto e del pentimento di aver preso i biglietti per una sola data, ma che serata. Ero stordito come un bambino che assiste dal vivo alla morte della mamma di Bambi. Ho il gruppo e le canzoni che mi hanno ribaltato l’adolescenza a tre metri di distanza e stento a crederci fino a quando non vengo travolto dalle onde di gente e sudore create da Do the evolution. Mi lascio trasportare in questo oceano bollente con gli occhi fissi sul palco. Il caldo è asfissiante ma in questi casi essere un metro e novanta su di un fisico ben piazzato ha solo vantaggi. Che cazzo! C’è Eddie davanti a me che canta Animal! Continuo a ripetermelo. Quest’uomo è pura energia e carisma.
Ho provato per tutta la settimana a scrivere qualcosa ma non ci sono riuscito. Stavo ancora metabolizzando l’accaduto. Anche oggi credo che queste parole siano vuote e non rendano l’idea di quello che è stato, di quello che ho provato.
Canzone dopo canzone cerco di non perdere neanche un fotogramma di quello che avviene sul palco. Affanculo lo zaino che si è aperto. Non c’è niente che valga un solo istante di quello che sto vedendo. Sono sei anni che non torniamo in Italia. L’assolo dietro la testa di Mike durante Even Flow. Salute dice Eddie mentre tracanna vino. Tutto Ok.
Black. Durante Black ho gli occhi gonfi di lacrime e sono sull’orlo dell’infarto. Dio com’è bella questa canzone. In fondo è solo una canzone. No, non è solo una canzone. Tutto il palazzetto canta. E’ una sola voce. Risentire quel momento mi ha fatto impazzire. Eddie è soddisfatto: molto bene.
Si apre una sequenza di brani impressionante. Ad aprire il secondo encore è Bu$hleguer. La rabbia e lo sberleffo. Una faccia finta. Disprezzata. Una maschera di gomma accartocciata e gettata in pasto al pubblico. Segue l’esplosione di Baba O’Riley.
Arriva l’ultimo pezzo, il palazzetto si illumina a giorno. Tutti devono vedere. E’ Indifference.
E’ una cosa che non si può scrivere, al massimo la si può descrivere, ma viverla è un’altra cosa. Magari se ci incontriamo per strada ve ne parlo.

venerdì, settembre 08, 2006

Puzzle

In questi mesi i miei panini hanno lasciato briciole ovunque. La pausa pranzo è un’ora di non lavoro ma non è classificabile come tempo libero, è una zona franca del proprio tempo che...bla bla bla…
Sono in sella allo scooter. Mi aggiro nel groviglio di case più o meno d’appuntamenti che ci sono all’inizio di Silvi Marina. I turisti sono andati via e questa zona tornerà in letargo per altri nove mesi. Palazzoni svuotati della carne e poggiati in ordine casuale senza la possibilità di fare da eco a qualcuno. Ci abita anche mia zia da queste parti, una sera sono passato a trovarla, sono appartamentini essenziali fatti per le esigenze dei turisti, lei ci vive. Mi sono chiesto che effetto fa doversi abituare alla sensazione di essere in vacanza tutto l’anno, senza vicini, senza rumori, una Tombstone sull’Adriatico. Mi viene in mente che ho anche un’altra zia che ha un’ appartamento qui, abita a Pescara, a tre minuti dal mare, ma viene in vacanza a Silvi.
Sono le 14:15 di una ipotetica giornata estiva, gli sgoccioli dell’estate, quando si riaprono le scuole ed il calore generato dal traffico entra in competizione con i raggi del sole. Sarà l’ora ma qui non c’è un’anima. Vedo tra i palazzi uno scorcio di spiaggia libera e decido di andare a mangiare il panino sopra un muretto con vista mare.
Sulla strada c’è una capra.
Ha le corna.
Ha le zampe.
È una capra.
Sulla mia sinistra c’è il mare.
Sulla mia destra c’è un prato dove pascolano le pecore.
Sulla mia sinistra ci sono i bagnanti.
Sulla mia destra ci sono le pecore.
Non ho mai approfondito i percorsi della transumanza quindi è possibile che si tratti di un fenomeno comune, ma non mi era mai capitato di vederlo.
E’ settembre, è tempo di migrar, i pastori lascian gli stazzi per prendere la statale 16.
Non lontano c’è un manifesto a caratteri cubitali: “MEGA FESTA DELL’ARROSTICINO”. Non so se i conti tornano, ho chiesto al loro maggiordomo ma non me l’ha saputo dire, però è possibile che la vicinanza al mare faccia bene alle bestie, un volta messi gli arrosticini sulla fornacella non è neanche necessario aggiungere il sale perché il mare li ha iodati a sufficienza. I pastori di mare faranno mangiare la polvere ai loro colleghi montanari e la sabbia a chi comprerà la loro carne.
Sono sul muretto a mangiare un panino al prosciutto fatto con un maiale allevato sott’acqua. Mi chiedo chi cazzo ce l’ha costruito ‘sto muretto sulla sabbia. Ad un tratto un maiale gonfiabile spicca il volo.
L’inquadratura ora ci mostra la soggettiva del maiale che va sempre più in alto. Ci sono io fermo a mangiare il panino rivolto verso il mare sempre più piccolo rispetto ai palazzi e al cemento. Questo regista ha qualcosa che non va perchè i titoli di coda non partono in tempo.
Gli spettatori sono spiazzati. La visione delle pecore li turba. Il finale non è chiaro. Tutti rimpiangono i soldi buttati per il biglietto. Soldi sottratti al mutuo per la casa al mare.
Il piccolo Alessio si diverte a completare il puzzle, lo fanno ridere le facce arrabbiate dei signori seduti sulle sedie. Alessio non realizza di aver mischiato i tasselli di tutti i suoi puzzle, non riesce a percepire che quell’immagine non ha senso, però è buffa, e lui ride.