lunedì, maggio 12, 2008

Apocalypse No

Prologo

Sembra impossibile rischiare la vita per futili motivi, si resta sospesi in una stato di irrealtà mentre si diventa come una di quelle news che passano veloci al tg regionale mentre si mangia. Che il mare non fosse buono si era capito subito. Cielo coperto e onde disturbanti. Quando il filo della canna si è teso abbiamo pensato ad una creatura enorme, magari un tonno. Guadagna un giro di mulinello ogni tre, deve essere un demonio. La tensione è altissima e Matteo si mette in piedi sulla barchetta ed è quasi sbalzato fuori dal rinculo del filo che si spezza.
- Secondo me non era un pesce, si era semplicemente incastrato a qualche cosa
- Può essere. Oh! Le onde ci stanno portando verso la diga…muoviamoci di qua.Sono spalle alla poppa e sento il motore girare a vuoto al primo strattone. Secondo tentativo. Nulla. Anche i successivi tentativi vanno a vuoto.
Le leggi del mare sono rapide e spietate e l’inesperienza ha il suo immediato riflesso nel panico. Bestemmie ad alta intensità come ultrasuoni si infrangono sugli scogli.Nessuno pensa neanche per un istante a gettare l’ancora. I remi non si aprono, sono corti, i più economici che c’erano e poi improvvisarsi rematori sarebbe un suicidio ancora peggiore.
E’ strano essere ad un passo da una morte stupida. Rischiare la vita per così poco come quando si gira in bicicletta per le strade di Pescara. Si resta impassibili e un po’ frastornati pensando che tutto si risolverà.
Nooo, non è possibile andarsene così, con gli scogli sempre più vicini e le onde sempre più alte.
E infatti il motore riparte.
Apocalypse No

Il mare non è una tavola come ci aspettavamo. Mentre fendiamo le acque del porto canale per rientrare al punto d’attracco siamo sotto gli occhi dei passeggiatori. Quest’insolita prospettiva mi rallegra, di solito sono io quello che stà per ore sul molo a guardare le barche che entrano ed escono.
Sono seduto sulla prua, con lo sguardo verso la foce. In questo tratto di fiume ci sono i pescherecci, c’è la gente di mare con la M maiuscola, non come noi improvvisati pescatori della domenica. Andando avanti la presenza dei pescherecci si alterna con le concessioni per posteggiare le barche, motori lucidi e potenti che fanno impallidire i nostri 25 cavalli. Sulla strada incontriamo anche il glorioso Trasponde e sono colto da un velo di malinconia per il troppo tempo che è passato dall’ultimo viaggio traghettato dal pirata. Il nostro attracco è poco più in là, in una banchina non propriamente legale ricavata alla base del ponte. E’ una teoria di assi di legno, travi di metallo e mobilio raccolto chissà dove. Un uomo ci saluta mentre armeggia con i cavi del piccolo travocco collocato su questo improbabile pontile. La struttura è tutta sulle sue spalle da quando il vecchio “proprietario” è stato colto da un ictus qualche mese fa. Prima di salpare ci ha detto che deve assolutamente mettere un cancello al posto del piccolo recinto che delimita l’ingresso. La notte entrano i tossici e lasciano bottiglie, immondizia e sirighe ovuque, anche sopra le sedie e sotto i cuscini dei divani. Infatti prima che si sieda lo vedo ispezionare accuratamente il vecchio divano a tre posti del suo vecchio salotto. Mi dice Matteo che d’estate, quando c’è un pò di gente, quello che pescano con la rete lo cucinano all’istante. Passo uno sguardo sull’acqua del fiume e non ho neanche per un istante il desiderio di partecipare a quei banchetti. Mi tengo stretti i pranzetti a basso impatto monetario di Trattoria Sisto.
L’acqua del fiume è calma e il sole sembra essersi svegliato, anche se è ancora in pigiama, così decidiamo di proseguire la traversata.Solo nei tratti che intercorrono tra una concessione e l’altra ci azzardiamo a superare i 3 nodi.
E’ un vero e proprio tuffo nella natura contaminata. Spiamo la città mentre è di spalle, osserviamo la sua spina dorsale affetta da scogliosi. Un verde lontano chilometri da quello dei parchi pubblici. Fronde inaccessibili usate come discarica per motorini rubati, barche e rifiuti da smaltire.
Nelle vicinanze del parco fluviale ci imbattiamo anche in un pascolo con delle capre che belano ad un passo dall’argine.
Le barche sono centinaia, ordinate, lucide, parcheggiate lì per svariate centinaia di euro l’anno. In una concessione c’è anche un cigno che si avvicina alla nostra imbarcazione incazzato nero e becca nervoso sullo scafo. Ci credo io che sei incazzato caro il mio cigno, solo, così bianco e maestoso a nuotare nella melma tra le capre e le imbarcazioni che ti fanno lo slalom attorno.
Altre banchine abusive spuntano in equilibrio precario dalle fronde con percorsi impervi che le collegano direttamente a qualche catapecchia o alle campagne.
La vegetazione si fa più fitta, e i rami invadono l’acqua. Inizio a fantasticare del mio colossal postatomico-cannibal-avventuroso a basso costo alla Bruno Mattei girato tra queste acque. Una tribù di mutanti che vive tra questi alberi, in queste catapecchie. Guerrieri improvvisati appostati sotto le carcasse delle imbarcazioni, manipolati da un ciccione viscido simile a Jabba di guerre stellari ma con un pacchetto di voti molto più ampio. Il suo obiettivo è fare l’interesse dei padroni dell’acqua, che non è più un bene di tutti e può essere privatizzata, venduta, inquinata. Insomma, un b-movie in piena regola con pretese ecologiste.
Ed io ho sempre la videocamera scarica quando potrei acquisire ottime immagini di repertorio.