L'ultimo scaffale a sinistra
Vedo Doppio. Ho un occhio chiuso per limitare i danni e restare nella mia porzione di strada. Il tratteggio della mezzeria invece di aiutarmi inizia a ballare come se fosse in balìa di un incantatore di serpenti.
L’ennesima serranda chiusa da confortare. Una breve gettata di luce per svegliare i fantasmi che si annidano tra la bijotteria. Infilo il tagliandino dell’agenzia a pochi millimetri dal buchetto di un bel lucchetto.
Tra questo negozio e il prossimo c’è di mezzo il Pedro’s Cafè.
Quando apro la porta c’è la solita clientela, i soliti sconosciuti che cortesemente mi ignorano. Punto dritto al banco dei panini per imbottirmi, inghiottirei anche una spugna in questo momento.
Indico un prosciutto e mozzarella. Il ragazzo del bancone squarcia la confezione a mani nude e lo infila nella piastra.
Indico un tonno e pomodoro. Il ragazzo del bancone non riesce ad aprire la confezione a mani nude ed è costretto a ricorrere alle forbici.
Prendo una busta di patatine.
Sto meglio.
E’ tempo di saldi per il negozio di scarpe, liquidazione totale! Sconti dal 50 al 70 %. Infilo il tagliandino e torno sull’utilitaria.
Odio guidare con gli scarponi anfibi, preferirei essere un anfibio che sguazza in una palude invece di trovarmi in questa pinetina metropolitana. Rallento per guardare meglio qualche mignotta. Squilla il cellulare. Porca Troia!
E’ l’allarme del discount di Viale Bovio. Aumento la velocità…non troppo. E’ sempre meglio lasciare un buon margine di fuga agli ipotetici ladri per evitare situazioni spiacevoli. Il turno è quasi finito e voglio concludere la giornata in tranquillità.
Rallento ancora un po’ perché è già la seconda volta che rischio di finire sul marciapiede. Non dovrei guidare in questo stato, rischio di incrementare due statistiche in un colpo solo.
Lascio la macchina fuori dalla sbarra del parcheggio e mi incammino con la torcia in mano. Effettivamente c’è qualcosa di strano. Ci sono due bici poggiate vicino l’ingresso.
Quando mi avvicino alla porta mi accorgo che è stata forzata. Impugno anche la pistola.
Spero che siano scappati in tempo. Faccio un po’ di rumore. Busso per non recare disturbo.
- Reparto dolci: libero.
- Reparto pasta: libero.
- Reparto alcolici: libero.
Giro per questo posto che odora di baccalà con la torcia e la pistola in pugno. Sembro una caricatura di Jack Bauer, solo che lui non mangia non beve e non ha sonno. Io invece sono al quarto conato rispedito al mittente e ho gli occhi che stentano a restare aperti.
Rumore di scatolame ad est.
Guido la luce oltre gli scaffali e urlo con tutta la voce che ho in gola – Uè ! -
Giro l’angolo e punto in avanti torcia e pistola.
Ci sono questi due tipi che vagano tra i banconi. Mi guardano con la sufficienza e la disperazione di due amanti appena separati che cercano di scacciare un venditore di rose.
Puzzano da fare schifo. Vomito.
Con i pezzi di tramezzino che ancora mi pendono dalla bocca mi rivolgo ai due - Ve ne volete andare o no!? -
Le mie parole li scalfiscono quanto il miagolio di un gatto, però cambiano senso di marcia e si dirigono a passo indeciso e ciondolante nella mia direzione.
La loro puzza è sempre più vicina. Il loro non è un pallore umano, sicuramente non è quello di un uomo vivo. Perdono liquidi. I loro capelli sono immobili. Ghiacciati.
Sembra che siano in preda ad una sudorazione inarrestabile. In realtà sono un piena fase di scongelamento. Me ne accorgo dalle piccole stalattiti che pendolo dal loro naso, filamenti di muco indurito che hanno preso a gocciolare.
Il vodka-tonic non mi aveva mai fatto quest’effetto. E’ assurdo che questi due tossici siano bistecconi scongelati con camice di flanella.
Sono a pochi metri da me e non hanno intenzione di fermarsi. La bocca della pistola dritta sulla testa di uno di loro. Minaccio di sparare. Nada de Nada. Ma che freddo che fa.
Sguaino il manganello d’ordinanza e intimo nuovamente – Ragazzi, io non ho visto niente, andatevene a fanculo e la finiamo qua – non ottengo nessun effetto – porcoddio! Mo’ m’incazzo -.
Afferro la prima cosa che trovo sullo scaffale, una barattolo in vetro pieno di fagioli borlotti.
- Centro-
Becco la testa di uno dei ghiaccioloni. Vetro e fagioli inondano la sua faccia. Non una goccia di sangue, solo una piccola battuta d’arresto. Poi un verme scende dal suo naso e inizia a precipitare tra i detriti, in quel momento capisco che la situazione va oltre la mia solita sbronza visionaria.
Merde di zombi. L’ho sentita al TG questa storia.
Non ho più dubbi su cosa fare. Stringo la presa dello sfollagente e lo schianto sulla prima zucca marcia. E’ un’esplosione di vermi e liquami. Un fetore d’inferno che mi fa collassare per l’ennesima volta. Sto per rigettare anche l’anima quando il secondo findus mi è sopra. Ho il suo fiato puzzolente sul collo. Gli schianto la bocca col retro della mia nuca e finisco il lavoro a manganellate. I vermi sono i nuovi padroni del discount. Io sono in riserva di succhi gastrici.
Pesco una polo a righe da un cesto di abbigliamento sfuso a treeuroenovanta e vado a cercare un cesso. Quello che trovo è una porta aperta. E’ la cella frigorifera.
Lo stesso nauseabondo fetore amplificato centinaia di volte. La stanza è decorata da un tappeto di vermi tarantolati. Poi, i corpi. Indossano ancora le loro divise: il macellaio, la pescivendola, i magazzinieri, le cassiere e il direttore impiccato per la cravatta tenuta da un gancio. Sono completamente surgelati.
Manca ancora mezz’ora alla fine del turno così decido di portarmi avanti con il lavoro.
In questa notte c’è una sola stella, quella dei Giants. Impugno il manganello come una mazza da baseball, in fondo c’è chi va a caccia per sport. Fracasso le teste degli inservienti una ad una mentre sprofondo nel marcio della stanza. Cerco di trattenere la bile che mi sale in gola con dei piccoli rutti poi assumo una posa alla Babe Ruth per colpire l’ultima testa, quella del direttore. E’ un fuoricampo eccezionale, come nelle Worl Series del ’32.
Un quarto d’ora alla fine del turno. Chiamo in agenzia e dico che non aspetterò che vengano gli sbirri perché ho già accumulato troppe ore di straordinario, loro dicono di aspettare sennò sono cazzi.
Esco da questo cesso e sbatto gli stivali contro il muro per scrollare i bigattini. Mi sento una merda e indosso un’orrenda polo a righe rosse.
Dopo qualche minuto sono di nuovo al Pedro’s Cafè. Nonostante le apparenze, la fissità degli sguardi e i movimenti rallentati, gli avventori del bar non sono zombi o per lo meno non sembrano essere tornati in vita. C’è ancora abbastanza posto nell’aldilà per i giocatori di videopoker.
Il caffè bollente mi brucia la gola. L’accendino brucia la sigaretta. Questo lavoro mi brucia la vita.
E’ l’alba, un’altra giornata che finisce.
L’ennesima serranda chiusa da confortare. Una breve gettata di luce per svegliare i fantasmi che si annidano tra la bijotteria. Infilo il tagliandino dell’agenzia a pochi millimetri dal buchetto di un bel lucchetto.
Tra questo negozio e il prossimo c’è di mezzo il Pedro’s Cafè.
Quando apro la porta c’è la solita clientela, i soliti sconosciuti che cortesemente mi ignorano. Punto dritto al banco dei panini per imbottirmi, inghiottirei anche una spugna in questo momento.
Indico un prosciutto e mozzarella. Il ragazzo del bancone squarcia la confezione a mani nude e lo infila nella piastra.
Indico un tonno e pomodoro. Il ragazzo del bancone non riesce ad aprire la confezione a mani nude ed è costretto a ricorrere alle forbici.
Prendo una busta di patatine.
Sto meglio.
E’ tempo di saldi per il negozio di scarpe, liquidazione totale! Sconti dal 50 al 70 %. Infilo il tagliandino e torno sull’utilitaria.
Odio guidare con gli scarponi anfibi, preferirei essere un anfibio che sguazza in una palude invece di trovarmi in questa pinetina metropolitana. Rallento per guardare meglio qualche mignotta. Squilla il cellulare. Porca Troia!
E’ l’allarme del discount di Viale Bovio. Aumento la velocità…non troppo. E’ sempre meglio lasciare un buon margine di fuga agli ipotetici ladri per evitare situazioni spiacevoli. Il turno è quasi finito e voglio concludere la giornata in tranquillità.
Rallento ancora un po’ perché è già la seconda volta che rischio di finire sul marciapiede. Non dovrei guidare in questo stato, rischio di incrementare due statistiche in un colpo solo.
Lascio la macchina fuori dalla sbarra del parcheggio e mi incammino con la torcia in mano. Effettivamente c’è qualcosa di strano. Ci sono due bici poggiate vicino l’ingresso.
Quando mi avvicino alla porta mi accorgo che è stata forzata. Impugno anche la pistola.
Spero che siano scappati in tempo. Faccio un po’ di rumore. Busso per non recare disturbo.
- Reparto dolci: libero.
- Reparto pasta: libero.
- Reparto alcolici: libero.
Giro per questo posto che odora di baccalà con la torcia e la pistola in pugno. Sembro una caricatura di Jack Bauer, solo che lui non mangia non beve e non ha sonno. Io invece sono al quarto conato rispedito al mittente e ho gli occhi che stentano a restare aperti.
Rumore di scatolame ad est.
Guido la luce oltre gli scaffali e urlo con tutta la voce che ho in gola – Uè ! -
Giro l’angolo e punto in avanti torcia e pistola.
Ci sono questi due tipi che vagano tra i banconi. Mi guardano con la sufficienza e la disperazione di due amanti appena separati che cercano di scacciare un venditore di rose.
Puzzano da fare schifo. Vomito.
Con i pezzi di tramezzino che ancora mi pendono dalla bocca mi rivolgo ai due - Ve ne volete andare o no!? -
Le mie parole li scalfiscono quanto il miagolio di un gatto, però cambiano senso di marcia e si dirigono a passo indeciso e ciondolante nella mia direzione.
La loro puzza è sempre più vicina. Il loro non è un pallore umano, sicuramente non è quello di un uomo vivo. Perdono liquidi. I loro capelli sono immobili. Ghiacciati.
Sembra che siano in preda ad una sudorazione inarrestabile. In realtà sono un piena fase di scongelamento. Me ne accorgo dalle piccole stalattiti che pendolo dal loro naso, filamenti di muco indurito che hanno preso a gocciolare.
Il vodka-tonic non mi aveva mai fatto quest’effetto. E’ assurdo che questi due tossici siano bistecconi scongelati con camice di flanella.
Sono a pochi metri da me e non hanno intenzione di fermarsi. La bocca della pistola dritta sulla testa di uno di loro. Minaccio di sparare. Nada de Nada. Ma che freddo che fa.
Sguaino il manganello d’ordinanza e intimo nuovamente – Ragazzi, io non ho visto niente, andatevene a fanculo e la finiamo qua – non ottengo nessun effetto – porcoddio! Mo’ m’incazzo -.
Afferro la prima cosa che trovo sullo scaffale, una barattolo in vetro pieno di fagioli borlotti.
- Centro-
Becco la testa di uno dei ghiaccioloni. Vetro e fagioli inondano la sua faccia. Non una goccia di sangue, solo una piccola battuta d’arresto. Poi un verme scende dal suo naso e inizia a precipitare tra i detriti, in quel momento capisco che la situazione va oltre la mia solita sbronza visionaria.
Merde di zombi. L’ho sentita al TG questa storia.
Non ho più dubbi su cosa fare. Stringo la presa dello sfollagente e lo schianto sulla prima zucca marcia. E’ un’esplosione di vermi e liquami. Un fetore d’inferno che mi fa collassare per l’ennesima volta. Sto per rigettare anche l’anima quando il secondo findus mi è sopra. Ho il suo fiato puzzolente sul collo. Gli schianto la bocca col retro della mia nuca e finisco il lavoro a manganellate. I vermi sono i nuovi padroni del discount. Io sono in riserva di succhi gastrici.
Pesco una polo a righe da un cesto di abbigliamento sfuso a treeuroenovanta e vado a cercare un cesso. Quello che trovo è una porta aperta. E’ la cella frigorifera.
Lo stesso nauseabondo fetore amplificato centinaia di volte. La stanza è decorata da un tappeto di vermi tarantolati. Poi, i corpi. Indossano ancora le loro divise: il macellaio, la pescivendola, i magazzinieri, le cassiere e il direttore impiccato per la cravatta tenuta da un gancio. Sono completamente surgelati.
Manca ancora mezz’ora alla fine del turno così decido di portarmi avanti con il lavoro.
In questa notte c’è una sola stella, quella dei Giants. Impugno il manganello come una mazza da baseball, in fondo c’è chi va a caccia per sport. Fracasso le teste degli inservienti una ad una mentre sprofondo nel marcio della stanza. Cerco di trattenere la bile che mi sale in gola con dei piccoli rutti poi assumo una posa alla Babe Ruth per colpire l’ultima testa, quella del direttore. E’ un fuoricampo eccezionale, come nelle Worl Series del ’32.
Un quarto d’ora alla fine del turno. Chiamo in agenzia e dico che non aspetterò che vengano gli sbirri perché ho già accumulato troppe ore di straordinario, loro dicono di aspettare sennò sono cazzi.
Esco da questo cesso e sbatto gli stivali contro il muro per scrollare i bigattini. Mi sento una merda e indosso un’orrenda polo a righe rosse.
Dopo qualche minuto sono di nuovo al Pedro’s Cafè. Nonostante le apparenze, la fissità degli sguardi e i movimenti rallentati, gli avventori del bar non sono zombi o per lo meno non sembrano essere tornati in vita. C’è ancora abbastanza posto nell’aldilà per i giocatori di videopoker.
Il caffè bollente mi brucia la gola. L’accendino brucia la sigaretta. Questo lavoro mi brucia la vita.
E’ l’alba, un’altra giornata che finisce.
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